“Non è pensabile che all'interno della sanità ci possano essere infermieri di serie A e infermieri di serie B, i primi sottoposti regolarmente al tampone laringofaringeo, i secondi invece solo una volta in cinque mesi e qualcuno nemmeno quella: non vogliamo assolutamente sollevare una polemica, ma chiediamo chiarezza e sicurezza per tutti, per gli operatori, per i pazienti e per le famiglie”. A sollevare la questione sono il segretario generale della Uil Fpl Rovigo Cristiano Maria Pavarin ed Attilio Minichini, componente della segreteria provinciale con delega alla sanità privata, nonché infermiere professionale alla Casa di cura Madonna della Salute di Porto Viro.
“La Casa di Cura di Santa Maria Maddalena – sottolineano Pavarin e Minichini - ha provveduto autonomamente affidandosi ad una ditta esterna per l'esecuzione periodica dei tamponi, ma sia il personale della Casa di Cura Madonna della Salute di Porto Viro che quello della Casa di Cura Città di Rovigo, che fanno capo allo stesso gruppo, sono stati coinvolti in un solo giro di tamponi di screening, che chi era assente in quei giorni ha quindi saltato, venendo sottoposti a test solo quando si sono verificati casi di pazienti risultati positivi. Ma la prevenzione, ci è stato ripetuto, è l'arma fondamentale per tutelare la salute di tutti in una situazione di epidemia come quella che stiamo ancora vivendo ed è stato, lo abbiamo potuto constatare, lo strumento vincente per evitare che, per esempio, il contagio si estendesse all'interno delle Rsa polesane, nelle quali continuano gli screening periodici su ospiti e personale con cadenza mensile.
Altrettanto, però, non avviene in due delle tre strutture private accreditate. Stiamo parlando di due realtà che contano, insieme, oltre 210 posti letto e che ricoprono un ruolo rilevante a livello della sanità del territorio. Porto Viro ha un pronto soccorso che lo scorso anno ha fatto 15.384 accessi, ben superiori a quelli del San Luca di Trecenta. Il paradosso è che i pazienti che entrano nelle strutture vengono sottoposti a tampone, ma chi ci lavora no. Già il 25 maggio avevamo inviato una lettera nella quale sollecitavamo la direzione delle due Case di cura a fornire chiarimenti in merito, ma senza ottenere risultati concreti. Sostanzialmente, l'Ulss 5 Polesana ed i vertici delle strutture in questione si stanno rimpallando la responsabilità su chi debba intervenire per l'esecuzione degli screening al personale. A noi questa disputa non interessa, mentre ci interessa, e parecchio perché lo riteniamo essenziale per la sicurezza non solo delle persone direttamente coinvolte come i lavoratori e gli stessi pazienti, ma anche delle rispettive famiglie e, in buona sostanza, dell'intero tessuto polesano, che vengano eseguiti con cadenza periodica i tamponi di screening. Perché scoprire una positività tempestivamente ed isolarla si è rivelata la strategia vincente. E tutelare gli infermieri, il cui prezioso ruolo si è ben notato in questo difficile periodo, è il minimo che si possa fare nei loro confronti”.
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