Il Mercatone Uno è fallito, e migliaia di dipendenti in tutta Italia lo hanno appreso dalla pubblicazione della sentenza del Tribunale fallimentare di Milano nei social network, venerdì sera, senza alcuna comunicazione ufficiale da parte dell'azienda. La notizia poi ha fatto il giro di whatsapp, lasciando nello sgomento i lavoratori: anche il Polesine è rimasto colpito, essendo non pochi i prestatori d'opera provenienti in special modo dalla zona di Adria a lavorare nella filiale di Mesola, dove ieri mattina è stato organizzato un sit-in davanti ai cancelli chiusi di uno dei negozi della Shernon Holding di Valdero Rigoni.
Ad esprimere solidarietà ai lavoratori del Mercatone Uno anche il sindaco di Adria Omar Barbierato: «Fa tremare le gambe la notizia del fallimento dell’azienda che aveva assorbito il Mercatone Uno. Sono vicino ai lavoratori e alle loro famiglie, che sono stati trattati con poco rispetto. L’auspicio è che il ministro del Lavoro di Maio utilizzi tutte le risorse a sua disposizione per salvaguardare i dipendenti, valorizzandone le professionalità acquisite». Il ministro ha in programma domani l'incontro con tutte le parti in causa, anticipato di tre giorni rispetto al previsto.
«In questi 23 anni di lavoro, da quando è stato aperto il punto vendita di Mesola - dicono i lavoratori - abbiamo rappresentato una parte della risorsa umana di questa azienda, assieme ai colleghi di San Giuseppe di Comacchio e degli altri punti vendita sparsi per l’Italia, per un totale di tremila colleghi. Un capitale umano che ha investito le proprie capacità lavorative pregresse e acquisite. Ebbene questi sforzi, questo impegno, queste conoscenze vengono calpestati ancora una volta. Nella mattinata di sabato noi dipendenti eravamo pronti a prestare la nostra opera, ma ci siamo imbattuti nei cancelli chiusi. E non capiamo perché in questi anni siamo stati portati al fallimento. Certo qualche imbonitore si è adoperato per spiegarlo. Abbiamo voluto credere ai vari attori perché non volevamo voltare le spalle a ciò che per anni avevamo contribuito a costruire.
Per questo chiediamo lo stesso impegno ai rappresentanti sindacali, ai commissari governativi nonché al ministero che fino a qui ci hanno accompagnati, con esiti alquanto incerti e affatto rassicuranti. Chiediamo di fatto che la nostra dignità di lavoratori e ancor prima di persone senzienti venga rispettata o meglio onorata, ponendo in essere ogni tutela perseguibile. Il nostro lavoro, in quanto realtà commerciale, è legato strettamente ai nostri clienti, che anche oggi, nonostante il negozio chiuso, ci interrogano per vie private. A maggior ragione chiediamo quindi rapidità nelle decisioni che dovranno essere assunte.
Invochiamo il diritto inviolabile al lavoro garantito dalla Repubblica e l’adempimento del dovere inderogabile di solidarietà sociale. Fino a questo momento (sabato 25 maggio, ore 19) non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte dell’azienda per il nostro licenziamento. Oggi noi siamo sospesi dal lavoro e non sappiamo quale futuro ci aspetta».
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