Anche in Polesine, così come in altri territori del Veneto, la pressione di questi due anni di pandemia ha accelerato l’emergere di una situazione sempre più critica nel settore socio sanitario. Siamo all’interno di una crisi che sarebbe arrivata comunque perché ha le proprie cause nelle scelte che sono state fatte negli ultimi 20 anni.
Tagli alle risorse destinate alla sanità, privatizzazione, indebolimento delle
strutture pubbliche, mancata programmazione delle professionalità necessarie.
L’incapacità di capire come si trasforma la società, insieme ad una visone prettamente utilitaristica del
servizio socio sanitario, hanno contribuito in modo determinante a definire la situazione di oggi, impedendo
di prevedere e preparare ciò di cui c’è bisogno.
Nel 1978 la legge 833 istituiva il Servizio Sanitario Nazionale su tre principi fondanti: universalità,
uguaglianza, equità, riprendendo l’idea di salute definita dall’art.32 della Costituzione come ‘fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività’.
Per realizzare questi principi il settore socio sanitario deve mantenersi all’interno di un perimetro che abbia
come obiettivi la realizzazione del benessere attraverso prevenzione, cura, assistenza di tutto ciò che
riguarda la salute, fisica e psichica.
l Covid è stato affrontato con le risorse pubbliche, nelle strutture
pubbliche e se a tutti è stata data l’opportunità di accedere alla vaccinazione in modo gratuito, anche questo
è stato ed è grazie al servizio pubblico, che ha come scopo la salute.
Il Servizo pubblico è invece costantemente destrutturato ed impoverito, Polesine incluso: riduzione dei posti
letti, chiusure di reparti, chiusure di ospedali nel pubblico, accentramento di funzioni in alcuni ospedali
provinciali.
Non sono solo le strutture ad essere in sofferenza. Uno dei problemi che investono in modo più pesante il
livello del servizio è quello relativo alle figure professionali, infermieri, specialisti e medici.
Il Veneto è la
regione nella quale manca il maggior numero di medici di base, oltre 500. La risposta non può essere quella
fornita dal Presidente di Regione Zaia, aumentando a 1800 il numero di pazienti in carico ai medici.
Non meno grave è la situazione delle Case di Riposo pubbliche, dove ai problemi di carenza di personale
infermieristico e di medici si aggiungono situazioni debitorie, ignorate dalla Regione. Ed è nelle RSA, in
particolare nella figura dell’OSS, che spesso emerge con maggior evidenza la scarsa valorizzazione e il poco
rispetto per quelle figure professionali che sostengono di fatto l’assistenza ai nostri anziani.
Quelle elencate sono parti di un tutto, che ci rende una situazione del nostro servizio socio sanitario che ha
bisogno di essere completamente ripensato. Per farlo occorre partire dalla conoscenza di quelle che sono,
oggi, le esigenze del proprio territorio e della propria popolazione per arrivare a ciò che saranno fra 5, 10,
20 anni.
Solo in questo modo possiamo iniziare a pensare alla sanità che vogliamo. Partiamo quindi da ciò
che conosciamo del nostro territorio e dalle esigenze della nostra popolazione per avanzare alcune proposte,
sulle quali vogliamo aprire un confronto fra le varie forze sociali ed istituzionali provinciali, con lo scopo di
arrivare a portare queste proposte in Regione.
Di questo tratterà l’evento organizzato ad Adria lunedì 4 Aprile, ore 21, presso Galleria Braghin. Un momento
di confronto con la consigliere regionale del Veneto che Vogliamo, Elena Ostanel, con il presidente della RSA
di Adria, Simone Mori, il sindaco di Adria, Omar Barbierato, il portavoce del Veneto che Vogliamo, Carlo
Cunegato. Anche un incontro di preparazione alla manifestazione regionale per la Sanità Pubblica, indetta
per il 09 Aprile a Padova da Covesap, alla quale abbiamo aderito, perché è ora di mobilitazione, di proposte,
di cambiamento.
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